Quale musica aiuta a combattere la depressione? La musica può avere effetti indesiderati? E perché anche un sordo può sentire un «tormentone»? Venti curiosità scientifiche.
Suoni e rumori risvegliano spesso sentimenti e ricordi, quindi possono avere effetti molto diversi a seconda dell’evento cui sono associati: per esempio, il primo grande amore o la prima delusione sentimentale importante. La reazione, positiva o negativa, subentra entro pochi secondi.
«Un suono stridulo, penetrante, dissonante o ruvido, come un urlo o una sirena, viene percepito come inquietante», spiega Natalie Holz, neuroscienziata presso l’Istituto Max Planck per l’estetica empirica di Francoforte. Suoni di questo tipo richiamano attenzione per il volume e perché ci ricordano che un allarme non promette niente di buono. Inoltre, attivano nel cervello il centro che controlla la paura. I compositori di musica da film ne tengono conto per la colonna sonora di thriller o gialli.
Anche la percezione di ciò che rassicura varia molto da individuo a individuo. Con i neonati funziona parlare con un tono di voce dolce e sommesso o cantare ninne nanne. I colleghi di Holz hanno scoperto che, per essere tranquillizzante, un brano deve avere uno sviluppo «prevedibile». Svolge un ruolo importante anche il tipo di musica che si conosce meglio. Una melodia «caotica» con cui non si ha familiarità produce infatti un effetto sgradevole.
L’orecchio trasforma le onde sonore in impulsi elettrici, che il cervello traduce in informazioni. Solo a questo punto le onde sonore assumono un significato. Ci si può comunque allenare all’ascolto per migliorare la capacità di distinguere tutte le possibili variazioni dei suoni, che si tratti di altezza, timbro, armonia o sequenza temporale, spiega Holz.
Il suono ha una sua forza: il tono acuto di un «cannone sonoro» è in grado di causare vero e proprio dolore. «Un rumore che distrae e si protrae per tutto il giorno fuori dalla finestra dell’ufficio, anche se di intensità innocua, può influire negativamente sull’attenzione e sull’umore generale», spiega Natalie Holz. «Se è possibile scegliere di non guardare, non è così facile evitare di sentire». Inoltre, l’udito non dorme mai.
«Un test ha dimostrato che, all’ascolto di un brano piacevole, dopo 2,5 secondi la pelle dei soggetti produceva più sudore che nel caso di una melodia sgradevole. Dopo sei secondi il battito cardiaco era aumentato di ben due battiti al minuto e dopo dieci il respiro era più accelerato», è quanto ha constatato Stefan Kölsch, psicologo musicale presso l’Università di Bergen, in Norvegia. Potrebbero addirittura intervenire variazioni nel sistema ormonale e immunitario, «ma al riguardo esistono ancora pochissimi studi validi».
Quella che viene percepita come divertente o incoraggiante. Si prestano bene le melodie con caratteristiche simili a una voce gioiosa, quindi frequenze più elevate e variazioni di altezza.
Viceversa, una musica molto malinconica può aggravare la spirale della depressione. «Bisogna fare attenzione», è il consiglio di Kölsch. «Nei periodi migliori, chi soffre di depressione può creare una playlist introdotta da musica triste, che in quel momento – per così dire – «prende», e che successivamente passa a brani che richiamano lo stato d’animo cui si aspira».
La musica è addirittura in grado di diffondere lo stesso umore tra i membri di un intero gruppo. Cantare e suonare insieme contribuisce a rafforzare la coesione sociale. «Per esempio, i bambini di quattro anni sono più portati a collaborare e ad aiutarsi, dopo aver fatto musica insieme».
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La musica può evocare sentimenti forti, ma con risultati anche molto diversi. Dipende dalla cultura in cui si è cresciuti e dalle associazioni a livello personale, spiega Federico Adolfi, neuroscienziato presso l’Istituto Max Planck per l’estetica empirica. La musica può favorire il rilassamento, alleviare i sintomi della depressione, contribuire a ritrovare la parola in seguito a un ictus, tranquillizzare i pazienti in terapia intensiva e aiutare chi soffre di Parkinson a riacquistare movimenti fluidi e veloci.
Sì. Negli ex tossicodipendenti, per esempio, un brano musicale associato alla precedente esperienza di abuso può scatenare nuovamente il bisogno di droga. Nei soggetti depressi una melodia triste può favorire episodi depressivi e in alcune persone che soffrono di epilessia la musica ritmata può provocare crisi.
Ad alcune persone, ascoltare l’esibizione di un intero coro o l’esecuzione di un inno provoca brividi. Ci sono brani che portano quasi alle lacrime. La causa è da ricercarsi nella «risonanza emozionale». «Fino al XIX secolo inoltrato era normale che gli ascoltatori condividessero con tutti i presenti le intense emozioni provocate dall’interpretazione di un solista», scrive Kölsch nel suo interessante libro «Good Vibrations».
Kölsch e un dottorando hanno analizzato gli accordi di 745 hit dal 1958 al 1991. Risultato: il piacere dell’ascolto raggiunge il massimo livello quando gli accordi creano una miscela ben dosata di sorpresa e «prevedibilità». Nel momento in cui un ascoltatore è incuriosito dallo sviluppo di una linea melodica, nel suo cervello si attiva una regione associata a una sensazione di felicità.
La ricetta è la seguente: una melodia orecchiabile, già sentita, un ritornello semplice, qualche ricordo associato alla canzone e una «regione secondaria dell’udito» attiva nel cervello. Se per esperimento una canzone viene improvvisamente interrotta, si ha la sensazione di sentirla in testa fino alla fine, a condizione di conoscere bene il brano. Lo stesso Figaro di Mozart può essere considerato un tormentone. Chi ne ha un brano che non riesce a togliersi dalla testa può segnalarlo sul sito «earwormery», che raccoglie tormentoni per scopi di ricerca. Anche chi è sordo può «sentire» un tormentone grazie alla regione secondaria dell’udito funzionante. In questo caso, tuttavia, il brano è una sorta di «allucinazione musicale».
Sì, una «dose» eccessiva può risultare dannosa: in alcuni giovani, la riproduzione di bassi troppo alti da altoparlanti a volume elevato ha addirittura provocato piccole crepe nel polmone, causando una condizione (temporanea) di «pneumotorace», con il polmone che si rimpicciolisce come un palloncino da cui fuoriesce aria. È comunque un rischio molto raro. Che i rumori o la musica ad alto volume possano danneggiare l’udito è generalmente risaputo, ma non sempre se ne tiene conto. Per esempio, se al termine di un concerto pop si sente un ronzio, significa che le orecchie hanno sofferto troppo.
Eccome! La musica, per esempio, può migliorare il senso di spossatezza, paura, stress, tensione e gli sbalzi d’umore di una persona malata di tumore. Inoltre può aiutare a prendere sonno, in particolare i brani classici.
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Evelyn Glennie è quasi sorda ed è una famosissima musicista scozzese. Ha studiato pianoforte e batteria. «Oltre che con la coclea, percepiamo i suoni anche con l’organo dell’equilibrio e con i recettori delle vibrazioni presenti nel corpo, probabilmente addirittura con i recettori della pressione della pelle. Sia la pelle che gli organi interni reagiscono alle vibrazioni», spiega Kölsch. Glennie sente i suoni bassi soprattutto nei piedi e quelli alti nel viso, nel collo e sul petto. Ci si può intrattenere con lei senza accorgersi della sua disabilità.
Prima o poi, l’udito cala per tutti. Il momento in cui avviene dipende anche dallo stile di vita. L’orecchio interno riceve sangue e sostanze nutritive da una sola arteria. La presenza di depositi che ostacolano il flusso sanguigno compromette l’udito. Con l’età aumentano anche i danni alle cellule sensoriali fini e ai nervi acustici. I suoni alti in genere sono i primi a non essere più percepiti. Per esempio, spesso i giovani riescono ancora a sentire il fischio di un pipistrello o un «dispositivo antimartora», ma col passare dell’età non ci si riesce più. Inoltre, diventa più difficile capire le frasi pronunciate velocemente.
Sì, affermano Holz e Adolfi. In caso di «iperacusia», i rumori della vita di ogni giorno diventano insopportabili.
Mi affascina vedere come gli animali interagiscono attraverso i rumori e quanto finemente li percepiscono: le faraone, per esempio, possono sentire un temporale lontano centinaia di chilometri. Gli infrasuoni permettono agli elefanti di comunicare da distanze enormi. I pesci emettono un’infinita serie di versi, a seconda della specie. Infine, sono particolarmente graziosi i topi che cantano per amore.
Si dice spesso che sia la vista il senso più importante. «Tuttavia, la nostra capacità linguistica è molto più influenzata dall’udito che dagli occhi o dagli altri sensi», affermano Holz e Adolfi. Rispetto a vista, olfatto e tatto, l’udito ha anche un grande vantaggio: riesce a percepire suoni da grandi distanze.
Il mio miglior sonnifero sono le fusa di un gatto al mio fianco: insieme ci addormentiamo subito. E poi il canto dei grilli in una sera d’estate. Sono molto tranquillizzanti anche i versi di soddisfazione di un cavallo mentre si ciba di fieno e paglia.