Troppo sale nuoce alla salute o non ha nessuna controindicazione? Una questione che da anni divide gli scienziati. Che il sale aumenti la pressione sanguigna e che una diminuzione dell’apporto riduca l’ipertensione è ormai un dato di fatto.
Nell’ambito di uno studio ampiamente significativo, si è riusciti a ridurre la pressione sanguigna in soggetti che soffrivano di ipertensione rispettivamente di 5,5 mmHg (pressione sistolica o «massima») e di 2,9 mmHg (pressione diastolica o «minima»). Ma per raggiungere questo risultato le persone sottoposte al test hanno dovuto ridurre notevolmente il consumo medio di sale, passando da 11,5 a 3,8 grammi al giorno. Nei soggetti che presentavano valori di pressione normali invece si è registrato solo un calo inferiore all’1 percento.
Se paragonati alle forti limitazioni culinarie necessarie per ridurre l’apporto di sale in tale misura, i risultati appaiono decisamente modesti. Lo studio fornisce una spiegazione a questo fenomeno: il nostro corpo registra la diminuzione dell’apporto di sale attraverso l’alimentazione e mette in atto le opportune contromisure in grado di aumentare la pressione sanguigna. Di conseguenza secerne più ormoni (55-127 percento) che restringono i vasi e trattengono il sale (sodio) nell’organismo. Anche gli ormoni dello stress e i valori dei lipidi nel sangue avevano registrato un lieve incremento (6-14 percento) nell’ambito dell’esperimento di riduzione del sale.
Il quesito rimane aperto: quali sono le conseguenze di queste osservazioni? Alla fine ciò che conta davvero è se effettivamente riducendo il sale guadagniamo in qualità della vita e in numero di anni da vivere - a prescindere dall’andamento della pressione sanguigna.
Se paragonati agli studi sulla pressione sanguigna, le ricerche in grado di rispondere a queste domande sono qualitativamente inferiori. Per registrare cambiamenti nella pressione sanguigna sono sufficienti poche settimane. Ne consegue che si possono effettuare esperimenti controllati senza problemi.
Per stabilire se l’assunzione eccessivamente alta o bassa di sale possa influire anche sul rischio di malattie bisogna invece monitorare la popolazione per decenni. Ecco perché per rispondere al quesito abbiamo a disposizione solo studi osservazionali, i quali possono sì dimostrare un nesso tra il consumo di sale e il rischio di malattie, ma non comprovare con assoluta certezza che il sale scateni una determinata patologia, ovvero che esista un nesso causale tra i due. (Continua a leggere qui di seguito...)
Un importante studio internazionale è giunto alla conclusione che il rischio di malattie cardiocircolatorie nei pazienti ipertesi aumenti in caso di assunzione di un quantitativo superiore a circa 13 grammi di sale al giorno. Un aumento di questo tipo di rischio era stato osservato però anche nei soggetti che consumavano una dose di sale inferiore a circa 9 grammi al giorno. Si tratta di un effetto spiegabile con le già citate contromisure adottate dal nostro organismo. Nelle persone con pressione sanguigna nella norma anche 20 e più grammi di sale al giorno non hanno prodotto un aumento del rischio.
Uno studio pubblicato nel 2018 ha osservato che i soggetti che consumavano più di 11 grammi di sale al giorno venivano colpiti con maggiore frequenza da ictus rispetto a chi invece ne consumava di meno. Sul rischio di infarto cardiaco e di mortalità invece anche un consumo elevato di sale non aveva alcuna influenza. Va detto tuttavia che la maggior parte dei soggetti che consumavano dosi massicce di sale era di provenienza asiatica, il che rende difficilmente trasferibili i risultati dello studio sulla popolazione europea.
Gli autori inoltre hanno scoperto che chi assumeva molto potassio si ammalava più raramente rispetto a chi ne consumava poco. Il potassio è un antagonista del sodio di provenienza salina e abbassa la pressione sanguigna. È presente soprattutto nella frutta, nella verdura e nei legumi. Chi abbonda con questi alimenti quindi potrebbe preoccuparsi meno del suo consumo di sale. (Continua a leggere qui di seguito...)
Fonti: Lancet 2018; 392: 496–506, Lancet 2016; 388: 465–475, Circulation. 2018 Jan 16; 137(3):237–246, Cochrane Database Syst Rev. 2017 Apr 9;4:CD004022, PNAS March 20, 2018 115 (12) 3138–3143