Quando è utile un’analisi della vitamina D? Quali sono le cause frequenti della sua carenza? E a cosa serve davvero? Ecco il fact checking di iMpuls.
Vero. Contrariamente a tutte le altre vitamine, il corpo umano è in grado di produrre autonomamente quella di tipo D, a condizione che la pelle sia esposta a una sufficiente quantità di luce solare. È qui infatti che viene creato l’85 percento circa della vitamina (dal colesterolo). Grazie alle radiazioni UVB della luce solare, il corpo può generare – in un processo che comprende diverse fasi – l’ormone «1,25-diidrossivitamina D». Quest’ultimo fa sì che dall’alimentazione venga assimilata una dose maggiore di calcio e che le ossa possano immagazzinarne una maggiore quantità, diventando in questo modo più resistenti. La vitamina D contribuisce anche al mantenimento della normale funzione muscolare.
Sì, può legarsi praticamente a tutte le cellule del corpo umano. La vitamina D influenza il sistema immunitario così come la crescita cellulare, i nervi e i muscoli. Fra gli specialisti è attualmente in corso un intenso dibattito sulla rilevanza terapeutica di tutto ciò in caso di patologie.
Esattamente. Chi non si espone mai al sole o usa sempre una crema protettiva non ha la possibilità di produrre autonomamente la vitamina D. Tale processo presuppone infatti che i raggi UV raggiungano la pelle. Un’eccessiva esposizione a tali radiazioni può tuttavia avere effetti cancerogeni. Gli specialisti raccomandano pertanto agli adulti di esporre al sole da marzo a ottobre viso, mani e parti di braccia e gambe quotidianamente da 5 a 25 minuti per fare il pieno di vitamina D. La precisa quantità di tempo richiesta dipende dall’intensità dei raggi solari, dal fototipo (le persone dalla pelle chiara producono più vitamina D di quelle dalla pelle scura), dall’età e dal peso. Le persone in sovrappeso hanno un maggiore fabbisogno di vitamina D. Anche in inverno è utile andare all’aperto ogni giorno per 15-20 minuti, possibilmente con il viso e le mani scoperte.
No. Una persona ha bisogno di circa 20 microgrammi di vitamina D al giorno (vedi riquadro per l'esatta dose giornaliera raccomandata). Più o meno l’85 percento di quest’ultima può essere prodotto autonomamente dal corpo umano a fronte di una sufficiente esposizione al sole. L’alimentazione fornisce quotidianamente da due a quattro microgrammi di vitamina D e nel complesso al massimo un quinto della stessa proviene dai cibi (per lo più di origine animale).
Gli alimenti che ne contengono la maggiore quantità sono i pesci di mare come l’aringa, l’anguilla, lo sgombro o il salmone. Anche tuorlo d’uovo, latte, alcuni funghi come gli champignon coltivati, alimenti essiccati al sole o cibi arricchiti di vitamine come la margarina ne contengono un po’. Per coprire il fabbisogno unicamente con l’alimentazione, un adulto dovrebbe per esempio mangiare oltre 500 grammi di uova al giorno.
Siccome anche il latte materno contiene solo poca vitamina D e i neonati di regola sono poco esposti al sole, ai bambini piccoli viene somministrata di routine vitamina D per prevenire disturbi della crescita. (Continua a leggere qui di seguito...)
No. I test della vitamina D sono fra le analisi di laboratorio più gettonate, anche se sono per lo più non necessari. Nella provincia canadese dell’Alberta (circa 4,5 milioni di abitanti) venivano effettuati ogni anno circa 310 000 controlli della vitamina D. Da quando questi esami del sangue sono stati limitati ai casi di necessità medica, il numero dei test è rapidamente sceso del 92 percento. Ciò ha prodotto – con le dovute conversioni – un risparmio di circa quattro milioni di franchi l’anno. Da tempo gli specialisti consigliano l’analisi del livello di vitamina D solo a fronte di notevole rischio di grave carenza. È il caso di persone
Dipende dalla stagione in cui si effettuano le analisi. In estate l’80 percento della popolazione svizzera presenta un livello sufficiente di vitamina D nel sangue. In inverno, per contro, oltre la metà si colloca su livelli al di sotto del valore consigliato, pari a 50 nmol/l (nanomoli per litro di siero). Da ottobre infatti la radiazione solare diminuisce e fa sì che la pelle non possa più produrre tanta vitamina D. Ad ogni modo, soprattutto muscoli e tessuti grassi sono in grado di immagazzinarne molta. Per un po’, il corpo può dunque consumare queste «riserve estive».
La frequenza con cui viene diagnosticata una carenza di vitamina D dipende anche da un altro fattore: la definizione del livello considerato normale. Solo dieci anni fa i medici praticamente non riscontravano mai carenze di vitamina D nei loro pazienti. Il ricercatore statunitense Michael Holick cercò di convincere tutti a prestare maggiore attenzione a questa vitamina e si impegnò per innalzare il valore limite che ne definisce la carenza. Se si seguisse questo consiglio, di colpo oltre l’80 percento della popolazione europea e più della metà di quella mondiale presenterebbero una carenza, obiettarono all’epoca i medici.
Oggi molti medici sono convinti che la carenza di vitamina D sia molto diffusa. Per questo motivo viene sempre più spesso prescritta: in Svizzera, per esempio, i medici hanno emesso nel 2016 ricette per oltre 14 milioni di questi preparati, un valore più che doppio rispetto a soli tre anni prima.
Dipende dalle direttive. L’Ufficio federale della sanità pubblica e l’US Institute of Medicine considerano i valori inferiori a 50 nmol/l come una carenza di vitamina D.
La Società tedesca per l’alimentazione (Deutsche Gesellschaft für Ernährung, DGE) parla per contro di carenza solo a fronte di valori sotto 30 nmol/l. A sua volta, la «Endocrine Society» statunitense – che riunisce gli specialisti degli ormoni – ritiene che tutti i valori inferiori a 75 nmol/l siano insufficienti.
In Svizzera il livello di vitamina D è considerato sufficiente a partire da 50 nmol/l e ottimale a 75 nmol/l. La DGE per contro considera già 50 nmol/l un buon valore. Non è ancora chiaro chi abbia ragione. (Continua a leggere qui di seguito...)
Si passano lunghi periodi presso ospedali o case di cura; si cade di frequente o si è in età avanzata e si è subita una caduta; si soffre di osteoporosi oppure malattie intestinali o renali; si assumono farmaci contro l’epilessia; inoltre è utile a tutti i bambini fino al secondo inizio estate (dunque fino a un anno, un anno e mezzo circa).
È importante anche assicurare un apporto sufficiente (ma non eccessivo) di calcio. Come valore orientativo si considerano 1000 mg di calcio al giorno. Gli strumenti di calcolo disponibili online possono aiutare a determinare la quantità di calcio assunta per via alimentare.
Dose giornaliera raccomandata
Nì. È certo che a una persona con una carenza fa bene fare il pieno di vitamina. Chi per esempio è costretto a letto e non può uscire, non può produrre vitamina D a livello della cute. Anche gli anziani presentano spesso un basso livello di vitamina D perché la loro pelle ne produce fino a quattro volte in meno rispetto alle persone più giovani. In tali situazioni, una sufficiente assunzione di vitamina D potrebbe evitare una caduta su tre e una rottura dell’anca su tre, rafforzando inoltre le difese immunitarie.
Oltre 3000 studi si sono dedicati finora agli effetti della vitamina D, ma molte domande rimangono in sospeso. I ricercatori hanno per esempio scoperto che le adolescenti con valori considerati normali di vitamina D hanno le ossa «più dense» rispetto alle ragazze con valori più bassi. A un’analisi più attenta è tuttavia emerso che la densità ossea dipendeva dal grado di allenamento delle giovani. I valori di vitamina D erano dunque probabilmente un indicatore di quali ragazze facevano molto movimento all’aperto e di quali invece restavano ferme in casa. È stata quindi l’attività fisica a migliorare la densità ossea? Oppure il responsabile è l’«ormone del sole»? O magari si tratta del prodotto dell’interazione di entrambi?
A questo proposito è in corso un acceso dibattito fra gli specialisti. Helmut Schatz ricorda che negli ultimi tempi alcuni studi sono giunti alla conclusione che la somministrazione di vitamina D non porta a niente nemmeno in questo caso. Tuttavia, in caso di osteoporosi accertata negli adulti prescrive ai propri pazienti 1000 UI di vitamina D più 1000 mg di calcio come terapia di base.
La stimata US Preventive Services Task Force (USPSTF) – che fornisce raccomandazioni in merito a misure precauzionali – ha addirittura fatto marcia indietro, sconsigliando l’assunzione preventiva di vitamina D agli adulti sani che non presentano osteoporosi né fattori di rischio per un’insufficienza di questo ormone.
Per un po’ lo pensavano anche molti medici, che ne prescrivevano o iniettavano direttamente ai loro pazienti dosi elevate. Attualmente tuttavia gli studi hanno dimostrato che un surplus di questa vitamina non fa meglio, anzi: a volte i dosaggi di 30 000, 60 000 o più UI (unità internazionali) al mese o all’anno hanno addirittura un effetto peggiore rispetto a dosaggi più bassi. I pazienti in questione, per esempio, sono più soggetti a cadute rispetto alle persone che assumono le dosi consigliate di vitamina D.
Neanche per idea! Una quantità eccessiva – a livello acuto o cronico – può causare un’intossicazione. Questa vitamina innalza il livello di calcio nel sangue. Quest’ultimo può a sua volta causare accumuli a livello dei reni che possono provocare addirittura un’insufficienza renale. Presso l’ospedale cantonale di Frauenfeld si è per esempio presentata una paziente che lamentava dolori addominali, vomito, anemia e insufficienza renale. Il motivo? Da un anno e mezzo assumeva quotidianamente 50 000 UI di vitamina D perché sperava che la aiutasse contro la sclerosi multipla.
La produzione di vitamina D del proprio organismo non può invece causare alcuna intossicazione, nemmeno in caso di prolungata esposizione ai raggi del sole. La luce solare infatti non solo contribuisce alla creazione della vitamina D, ma ne distrugge anche un po’.