Il fatto che le donne possano avere sintomi leggermente diversi rispetto agli uomini in caso di infarto è ancora poco conosciuto, con conseguenze devastanti: gli uomini hanno più probabilità di avere un infarto, ma sono le donne a morire di più.
Malessere, nausea, vomito, stanchezza e dolori addominali o alla schiena persistenti: di fronte a questi sintomi, di solito non si pensa subito al peggio. Eppure, per le donne, questi sintomi possono essere i segnali di un infarto. «I sintomi che non vengono immediatamente associati a un infarto sono più frequenti nelle donne che negli uomini», afferma Elena Tessitore, cardiologa del Centro cardiovascolare dell’Ospedale universitario di Ginevra (HUG).
Tuttavia, i sintomi più comuni si manifestano anche nelle donne:
Le donne, in media, hanno un infarto sette-dieci anni più tardi rispetto agli uomini, quindi intorno ai 65-70 anni, spiega Elena Tessitore. Fino alla menopausa, infatti, le donne sono protette un po’ di più rispetto agli uomini dall’ormone sessuale estrogeno. Tuttavia, le donne che hanno ancora il ciclo non devono sentirsi troppo al sicuro. «Anche nelle donne giovani, con i sintomi descritti, si deve pensare a un infarto».
Ci sono differenze biologiche fondamentali tra uomini e donne. E non solo nell’ovvio ambito degli organi sessuali, ma anche in aspetti anatomici che a prima vista sembrano simili. Ad esempio, per quanto riguarda la salute del cuore, il fatto che i cuori delle donne siano più piccoli di quelli degli uomini e che i vasi sanguigni siano più stretti fa la differenza. Anche il tipo di depositi di colesterolo è diverso: negli uomini sono più colpite le arterie coronarie più grandi, nelle donne invece quelle più piccole. Le differenze ormonali tra i sessi comportano anche altre differenze nella malattia cardiaca. Questo significa che troppo spesso alle donne non viene diagnosticato un infarto, con conseguenze devastanti.
«Sì, eppure le donne muoiono più spesso», sottolinea Elena Tessitore. «Perché l’infarto viene diagnosticato più tardi nelle donne». Il motivo è che l’infarto è considerato una malattia maschile e non si pensa subito a una donna che ne soffre, spiega la dottoressa. Le donne vivono in generale più a lungo degli uomini e sono più attente alle visite di controllo, ma in situazioni di emergenza molte sembrano non prendere le cose sul serio. L’infarto rimane la principale causa di morte in entrambi i sessi nei Paesi industrializzati.
L’infarto del miocardio è causato da un’occlusione improvvisa di un’arteria che irrora il muscolo cardiaco. Di conseguenza, una parte del tessuto muscolare non riceve più abbastanza ossigeno. Se il vaso sanguigno non viene riaperto entro dodici ore, il tessuto interessato muore. Ciò può indebolire in modo permanente la capacità di pompaggio del cuore, causare aritmie o addirittura la morte. In questo articolo puoi trovare altre informazioni sull’infarto.
La maggior parte dei fattori di rischio per le malattie coronariche è uguale per entrambi i sessi:
Per le donne, ci sono alcuni rischi specifici legati al genere:
A livello globale, più di un terzo delle donne muore per malattie coronariche, più che per il cancro. Circa 30 anni fa, si è capito che la mortalità femminile per malattie cardiache era in costante aumento, mentre quella maschile diminuiva notevolmente. Questo ha portato molte strutture sanitarie a sviluppare programmi specifici per le donne e a intensificare la ricerca di genere.
Gli studi clinici forniscono informazioni sulle malattie e sui sintomi correlati. Sono la base per l’autorizzazione di farmaci e altri trattamenti medici. Ma ben tre quarti dei dati raccolti sono di uomini. Le donne sono infatti molto più difficili da coinvolgere in uno studio. Hanno più timore dei rischi e delle complicazioni e, in particolare tra i 25 e i 45 anni, quando si parla di maternità, non vogliono mettere a rischio un eventuale figlio. Di conseguenza, per le donne ci sono meno dati scientifici sulle malattie, sull’efficacia, sugli effetti collaterali e sulle dosi corrette dei farmaci. Dieci anni fa sono state emanate linee guida per la ricerca di genere. «Non sono ancora state applicate ovunque in modo adeguato», sottolinea Elena Tessitore. «Le professioniste e i professionisti della salute devono essere ancora più sensibili alle differenze di genere in medicina». Per saperne di più sul gender data gap
Per la salute del cuore è bene:
L’infarto può essere diagnosticato con certezza solo in ospedale, con un elettrocardiogramma (ECG), un esame del sangue che misura la troponina (una proteina che viene rilasciata quando il muscolo cardiaco è danneggiato) o un cateterismo cardiaco.
Il vaso ostruito viene solitamente riaperto con un catetere cardiaco (angioplastica). Dopo averlo dilatato con un palloncino, si inserisce spesso uno stent che mantiene il vaso aperto a lungo termine. A volte è necessario un intervento chirurgico al cuore, durante il quale si crea un bypass attorno alla zona ostruita. «Non si deve perdere tempo», sottolinea la cardiologa Elena Tessitore. Di solito, i pazienti devono assumere farmaci anticoagulanti e anticolesterolo per almeno un anno. In una riabilitazione cardiaca, i pazienti vengono gradualmente riabituati a svolgere attività fisica in un ambiente controllato e vengono loro insegnate abitudini di vita sane e adatte per ridurre il rischio di un nuovo episodio.
Xenia si era sempre nutrita in modo sano e si era sempre mossa molto. Si sentiva in perfetta salute. Ma durante una passeggiata veloce cinque anni fa, all’improvviso ha iniziato a sentirsi senza fiato e ha avvertito una sensazione di bruciore ai polmoni. Si è dovuta fermare e riposare. «Non mi era mai capitato nulla di simile», ricorda la donna, che oggi ha 76 anni. «Non avevo idea di cosa potesse trattarsi». Poiché i sintomi persistevano, si è recata al pronto soccorso di un ospedale vicino a Ginevra. Mentre aspettava di essere visitata, i suoi problemi cardiaci sono peggiorati. Alla fine i medici hanno diagnosticato un infarto.
Tre mesi dopo l’evento, ha partecipato a un programma di riabilitazione cardiaca di cui ha beneficiato molto. Nel frattempo, si è completamente ripresa. Per ridurre il rischio di un altro infarto, deve assumere farmaci per abbassare il colesterolo che le causano dolori muscolari. Tuttavia, da quando ha ridotto il dosaggio, riesce a tollerare meglio le statine.
La nonna di due nipoti pensa che sia stato soprattutto lo stress a compromettere la sua salute cardiaca. Dopo la morte della nuora per cancro al seno, si è presa cura delle sue due nipoti. Dopo quell’evento, ha imparato a prestare attenzione a se stessa e a dire di no quando necessario. «Quell’evento è stato un campanello d’allarme».
Durante un controllo di routine, il medico di famiglia aveva rilevato valori elevati di pressione e colesterolo. Ma la paziente non voleva assumere farmaci e anche il medico non riteneva che fosse necessario. Sei anni fa, mentre correva verso la stazione di Milano, Catherine ha sentito un dolore e una pressione al petto. I sintomi sono scomparsi nel giro di pochi minuti, ma si sono ripresentati due volte nelle settimane successive. Dopo il terzo episodio, su insistenza del compagno, si è recata al pronto soccorso. L’ospedale ha rapidamente diagnosticato un infarto.
Dopo tre mesi di riabilitazione, Catherine ha potuto riprendere il suo lavoro. Oggi riconosce di aver ignorato i sintomi e che il suo medico non l’ha spinta a farsi curare. Inoltre, secondo lei, si sarebbe dovuto considerare il fatto che soffriva di endometriosi, una malattia che aumenta il rischio di malattie cardiovascolari.
«La consapevolezza della salute cardiovascolare delle donne dovrebbe essere rafforzata», afferma la cardiologa Elena Tessitore. Un passo importante in questa direzione è rappresentato da colloqui regolari negli studi dei medici di famiglia, che svolgono un ruolo chiave: «Possono sottolineare l’importanza degli esami di prevenzione e incoraggiare le pazienti a considerarli parte integrante della loro salute».